domenica 9 maggio 2010

Felici o inconsapevoli? Questo è il dilemma!




Questo post nasce da una riflessione che facevo l’altro giorno, alla quale, ancora oggi, cerco di dare un senso.

Mi chiedevo, come spesso faccio, quale possa essere la meta del viaggio che stiamo percorrendo.

Sempre riflettendo, mi è sembrato che il concetto della meta non poteva essere molto appropriato se non identificato con il naturale epilogo della nostra esistenza.

Mi è venuto da pensare dunque che tale ricerca dovrebbe essere quotidiana e dovrebbe essere indirizzata verso ciò che è in grado di darci consapevolezza circa il raggiungimento di uno stato di “felicità”.  E dunque giorno per giorno siamo naturalmente tesi a cercare qualcosa che ci dia la felicità.

A questo punto della riflessione, però, mi è parso di imbattermi in una contraddizione nella definizione della felicità come obiettivo della nostra ricerca quotidiana.

Cioè, se quotidianamente siamo alla ricerca di qualcosa che ci rende felici, forse vuol dire che questo qualcosa non ce l’abbiamo e forse felici non lo siamo.

Sembra che la felicità sia qualcosa di inafferrabile in quanto vogliamo sempre qualcosa in più e fin quando siamo alla ricerca di questo qualcosa in più non saremo felici.

Le nostre ambizioni e i nostri desideri sono la prova che cerchiamo di essere qualcosa di diverso da quello che siamo, vorremmo raggiungere uno stato diverso da quello in cui ci troviamo, vorremmo migliorarci sempre un po’.

Ma cosa vuol dire “migliorarci”? Essere più ricco, avere più cose o essere importante?

Forse nessuna di queste; forse proprio l’assenza di tali aspirazioni potrebbe identificare il nostro stato di felicità.

Sembrerebbe logico pensare che siamo felici quando le nostre ambizioni e i nostri desideri ci abbandonano. Quando la ricerca delle cose per essere felici si placa.

Cioè, la felicità arriva quando non avremo il desiderio di avere di più di ciò che abbiamo in questo momento.

Così sembra, però, che nel momento in cui siamo felici, tale felicità ci sfugga.

Pensiamo, ad esempio, a quando raggiungiamo un traguardo, un diploma, una laurea o semplicemente compriamo l’auto che volevamo, quel paio di scarpe tanto desiderato o quello stereo da sballo.

Nei momenti immediatamente successivi a tali traguardi ci sembra di essere al settimo cielo, ma dopo un po’, neanche dopo tanto tempo, si insinua in noi quel senso di vuoto colmato solo da un altro desiderio o un’altra ambizione.

Se questo ragionamento ci sembra logico, allora la vera felicità non sarebbe uno stato che si può percepire in maniera continuativa, se non confondendola con momenti isolati di esaltazione per un evento passeggero.

Quando siamo realmente felici, non ce ne rendiamo conto. Nel momento in cui realizziamo di essere felici, vuol dire invece che tale felicità ci sta sfuggendo, in quanto sta per mancare qualcosa al nostro “equilibrato benessere” che ci pareva di aver raggiunto.

Quindi la ricerca di ciò che ci rende felici si potrebbe identificare con il nostro bisogno di avere una conferma del nostro stato di felicità. Ma, proprio in quel momento, cioè quando ci avviciniamo a quella conferma, ci rendiamo conto che qualcosa ci sfugge ed in noi si innesca un nuovo desiderio il cui raggiungimento, crediamo, ci porterà di nuovo alla felicità.

Di certo è un ragionamento che si potrebbe portare ancora molto avanti, ma potrebbe poi diventare molto teorico. Ed infatti, dicevo all’inizio, ancora oggi non riesco a dargli un senso, in quanto è difficoltoso rendere logico un tale ragionamento rispetto alla realtà in cui viviamo e nella quale tutti devono rincorrere qualcosa…

L’unico conforto che riesco a trovare in questa riflessione è che, senza farsi guidare ciecamente dalle ambizioni o dai desideri, si possono semplicemente seguire quanto più possibile le proprie passioni, sia nello studio, sia nel lavoro, sia nello svago, sia nei rapporti interpersonali.

Solo seguendo e facendo ciò per cui abbiamo passione e facendolo ovviamente con passione, senza secondo fine, potremo in maniera naturale liberarci dal desiderio, perché non avremo un fine diverso dal vivere la nostra passione. Cioè non staremo a svolgere quel compito perché ci porta qualcosa di diverso (un vantaggio economico, un vantaggio materiale, un riconoscimento), ma nello svolgimento stesso è presente la nostra gratificazione che ci porta ad uno stato di “inconsapevole felicità.


6 commenti:

  1. Argomento interessantissimo!
    Cio' che cerchi di spiegare seguendo un "filo logico" e' molto interessante, ma credo che nella vita tutto cio' che riesce a darci la felicita' sia legato all'Amore (ovvero alle passioni, come le definisci tu) e nell'Amore purtroppo non c'e' mai una logica.
    Ma se ci pensi attentamente, capirai anche che l'Amore non e' altro che IL DESIDERIO DI AMARE.
    Pertanto finchè saremo mossi dal desiderio e dalle passioni dovremmo essere felici (almeno si spera)...

    RispondiElimina
  2. Caro Anonimo, mi fa piacere che trovi interessante gli argomenti...

    Fai attenzione, io non cerco di dare un filo logico alle cose; cerco, per esclusione, di dare un senso (non una risposta) ad alcuni interrogativi che credo ognuno di noi si sia fatto nella vita.
    Spesso, ovviamente, non è semplice dare un senso alle cose, ma almeno per esclusione, alla fine del post, ho capito che seguire le passioni (e l'amore è una passione) non si sbaglia mai... di certo però una cosa è "il desiderio di amare" e cosa ben diversa è il "vero amare".

    E' semplice un giorno svegliarsi e capire che si ha il desiderio di fare una passeggiata, avere il desiderio di fare qualcosa per la propria salute ecc. Poi magari un imprevisto ci impedisce di fare ciò che abbiamo desiderato.

    Diverso è svegliarsi una mattina e dire: "oggi ho il desiderio di amare".

    L'amore non si programma, l'amore è l'unica cosa che succede in maniera non razionale, è l'unica cosa che comporta vero "stato creativo".

    Nessun imprevisto potrà impedirti di amare (in senso metafisico) se stai provando vero amore....

    RispondiElimina
  3. Ciao,
    è giustissima la tua frase finale:
    "Nessun imprevisto potrà impedirti di amare (in senso metafisico) se stai provando vero amore...."
    E' esattamente cio' che intendevo: nel vivere le tue passioni stai gia' provando amore (in senso metafisico) e cio' costituisce di per sè la felicità.
    In altre parole, bisogna imparare a saper amare ciò che si fa, non solo fare ciò che si ama (che, tra l'altro, sarebbe molto più semplice)...
    Spero di aver reso al meglio il concetto!

    RispondiElimina
  4. Ho compreso il tuo concetto (come l'avevo compreso anche prima) anche se, quello che esprimevo io, è su un piano più ideale.

    Se io faccio qualcosa e cerco di amare questa cosa che faccio, per me non nè vero amore (cioè il vero amore non può partire da una mia intenzione).

    Diverso è il caso in cui faccio una cosa perchè amo fare quella cosa e farei di tutto per farla...

    Il tuo pensiero contestualizza il concetto di amore rispetto alla nostra realtà: nella nostra vita è molto difficile riuscire a fare ciò che si ama davvero.

    E' molto più semplice cercare di farsi piacere (ma questo non è vero amore) ciò che per forza di cose dobbiamo fare...

    RispondiElimina
  5. Salve.
    Mi inserisco nella discussione per fare una nota rispetto all'argomento dell'articolo e rispetto al vostro scambio di pensieri.
    Anonimo dà una lettura della felicità che si adatta alla realtà in cui viviamo. Cioè vuole adattare il concetto di felicità a quello che è il nostro vivere quotidiano: se cerco di fare con piacere ciò che giorno per giorno la vita mi presenta sul piatto, forse sarò più felice.
    Antonio dice una cosa ulteriore. Se faccio in questo modo, cioè se mi adatto a vivere nella maniera migliore ciò che la vita mi da, forse vivrò meglio giorno per giorno. Ma questo non cambia il senso fondamentale della comprensione del concetto di felicità.
    Può essere giusto rendere contestuale la ricerca della felicità alla nostra realtà e capire che è difficile fare ciò che realmente si ama. Se si fa in questo modo, cioè se non si cerca di guardare da un'altra prospettiva (dalla prospettiva "ideale" che propone Antonio), non si saprà mai se non c'è un'altra strada che ci faccia vivere meglio e ci porti ad uno stato di maggiore felicità.
    A sostegno di ciò concludo con la massima che dice: "se fai sempre le stesse cose o se pensi sempre allo stesso modo, otterrai sempre gli stessi risultati. Se fai cose diverse e pensi in modo nuovo, otterrai risultati nuovi".

    CIAO

    RispondiElimina
  6. Ciao Giovanni.

    Hai dato una lettura dei nostri pensieri che, per quanto mi riguarda, posso condividere...

    ...prendendo spunto dall'ultima affermazione che riporti, posso solo aggiungere che...per la felicità non esiste una strada tracciata. Di certo non potrà mai essere uno stato perpetuo (consapevole o inconsapevole che sia)....

    ...l'importante è che ognuno tracci la propria strada o capisca il percorso che sta facendo senza farsi influenzare dalle convenzioni...

    RispondiElimina